basta mance. il mercato del lavoro va riformato
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12 maggio 2023
Da metà estate e fino a dicembre 2023 i lavoratori italiani si ritroveranno tra i 50 e i 100 euro in più in busta paga. La decisione è stata presa il 1° maggio, con l’approvazione di un decreto legge da parte del Consiglio dei ministri, con una manovra da 4 miliardi che interviene con misure volte a ridurre il cuneo fiscale, per la parte contributiva, nei confronti dei lavoratori dipendenti con redditi fino a 35.000 euro lordi annui. Le buone notizie, però, si fermano qui. Perché si tratta di un provvedimento temporaneo, limitato agli ultimi sei mesi del 2023, quindi solo da luglio a dicembre e che, specifica il Mef, non avrà nemmeno “ulteriori effetti sulla tredicesima”.
Dal 1° maggio in TV assistiamo a polemiche sulla bontà o meno del Decreto: le forze politiche di governo sostengono di aver fatto un’opera buona e unica, le forze di opposizione ritengono inutile questo provvedimento.
Da cittadina lavoratrice credo che di sicuro sia un ottimo regalo per tutti i beneficiari, ma che non sia affatto un provvedimento “Lavoro”.
È come dare una beneficenza a una persona in difficoltà. La vita non gli cambierà, potrà stare più sereno per qualche mese.
Quello che manca, in realtà, è una prospettiva futura per i lavoratori italiani. E, a quanto pare, la questione sembra che nessuno riesca a risolverla: in passato come oggi.
Quando si parla di mercato del lavoro e delle problematiche italiane di incontro tra domanda e offerta, si ha spesso un approccio d’indagine frammentato, a compartimenti stagni. La complessità della società di oggi ci dovrebbero spingere, invece, a guardare l’istituzione del mercato del lavoro in maniera organica, analizzando i diversi profili che interessano la domanda di lavoro e quelli che interessano l’offerta di lavoro.
Sappiamo che il mercato del lavoro italiano è fragile, in termini di qualità del lavoro e di quantità (part-time involontario, lavoro povero e sommerso). In tutti i settori, in maniera trasversale, si registrano i tre grandi divari che si trascinano da decenni: quello generazionale, anzitutto, che si manifesta con un tardivo ingresso dei giovani nel mondo del lavoro e un alto tasso di disoccupazione giovanile; il gap di genere che nasconde un’ampia forbice nei trattamenti salariali tra uomo e donna; e poi c’è il divario geografico, forse il più antico di questi.
I dati dell’ultima indagine della Fondazione Di Vittorio certificano che l’occupazione nel mondo del lavoro in Italia è sempre più legata a part-time involontari e contratti a termine.
ll tasso di occupati in Italia a ottobre 2022 era il 60,5 per cento. Un dato alto, certo, il più alto mai registrato nel nostro Paese. Ma comunque il più basso dei 27 Stati dell’Unione europea. La media Ue, infatti, è del 70%, il tasso della Germania supera il 77%, Grecia, Spagna e i paesi dell’Est Europa hanno tassi superiori a quello italiano.
È la qualità dell’occupazione a fare la differenza. Nel 2008 i 23 milioni di occupati contavano un numero di contratti precari inferiore a quelli attuali: 2,3 milioni contro i 3 milioni del 2022.
Il nostro poi è l’unico Paese dell’area Ocse nel quale, dal 1990 al 2020, il salario medio annuale è diminuito (-2,9%), mentre in Germania è cresciuto del 33,7% e in Francia del 31,1%.
Dunque, oltre la disoccupazione, la qualità del lavoro rimane una grande preoccupazione. Il lavoro dignitoso è essenziale per la realizzazione della giustizia sociale. Il progresso raggiunto nell’ultimo decennio in termini di riduzione della povertà è stato spazzato via dalla crisi del COVID-19.
Tale scarsità potrebbe costringere molti lavoratori a accettare lavori di bassa qualità, con retribuzioni spesso insufficienti e con orari di lavoro ridotti. Inoltre, la crisi dovuta al rincaro del costo della vita che non è controbilanciata dalla crescita del reddito dei lavoratori rischia di spingere sempre più persone verso la povertà. Questo divario si somma all’erosione del reddito causata dalla crisi pandemica che, in Italia come in molti altri paesi, ha colpito maggiormente i gruppi a basso reddito.
Ecco perché quando in tv viene affronta il tema di questo taglio del cuneo fiscale, cambio canale.
Non è giusto per noi. Gli argomenti dovrebbero essere altri, fondati sulle prospettive concrete per i lavoratori italiani e sul rispetto dell’Art. 1 della nostra Costituzione.
Ma l’Italia è davvero una Repubblica Democratica fondata sul lavoro?
L’affermazione di Sandro Pertini “la libertà senza giustizia sociale è una conquista vana” è oggi più attuale di ieri.
Al Governo un grazie sincero per il regalo che concederà a tanti lavoratori italiani nei prossimi mesi, ma al contempo chiediamo una vera e propria riforma del lavoro che sia coniugata a tante altre riforme necessarie e complementari ad essa affinché gli italiani possano essere persone orgogliose di avere un lavoro dignitoso, libere di essere oneste e di poter sognare il proprio futuro a colori.
La libertà può esistere solo se esiste una giustizia sociale. E questa, in Italia, non la si otterrà con un regalo di 500 euro; ormai non si può prescindere da una vera riforma del lavoro.