PD in crisi, senza circoli non c’è democrazia

24 febbraio 2023

Domenica prossima sarà eletta la nuova segretaria o eletto il nuovo segretario del Partito Democratico.

Si sono conclusi i voti di circolo svolti dal 3 al 19 febbraio con le preferenze sui quattro candidati di 151.530 iscritti.

Dopodomani sarà il momento della seconda fase del congresso in cui tesserati, elettori e simpatizzanti del Partito Democratico potranno decidere se a condurre le sorti del partito sarà Elly Schlein o Stefano Bonaccini.

Il tutto avviene in un momento particolare per il partito che si ritrova, nonostante la ripresa di questa fase congressuale, in calo inesorabile di iscrizioni: dagli 831mila del 2009 ai 539mila del 2013, vigilia delle europee dove il Pd di Matteo Renzi prese il 40% dei voti, fino ai 320mila nel 2021. Insomma, in costante perdita, ma pur sempre davanti agli altri. Almeno fino ad ora. I dirigenti la spiegano con le nuove regole contro i pacchetti di tessere e gli iscritti fantasma, tanto che c’è chi si domanda quanti ne fossero se da un anno all’altro il numero degli iscritti si è ridotto di oltre sei volte.

È la prima volta che mi ritrovo a parlare pubblicamente di un congresso del PD da non iscritta e non attivista. È una sensazione strana, nonostante tutto mi sento parte di questa storia, per esserci stata dentro 9 anni. Dal 2008 al 2017 sono stata una tesserata del partito, appassionata e convinta di quelle idee. Ho avuto il privilegio di gestire diversi congressi e campagne tesseramenti nella capitale, in Puglia anche da segretaria di circolo e dirigente regionale.

Il Partito Democratico era una grande famiglia dove crescevi e costruivi qualcosa, ti sentivi responsabile di quel pezzo di società che toccava a te curare.

Ho vissuto l’amicizia e l’edificazione di idee su cui fondare le prerogative di un partito per la comunità. Le imponenti basi su cui era sorto implicavano le eredità di grandi uomini e donne che hanno restituito quei diritti che prima mancavano.

E quindi cosa è successo? Come mai questo partito ha perso per strada persone e sentimenti?

Non credo che la risposta sia nelle tessere fantasma, né tantomeno nel pagamento con carta di credito…i numeri sono troppo imponenti per giustificarli con tecnicismi.

Ho visto andare via dal partito giovani dirigenti, non fantasmi, ma appassionati e presenti.

La verità è che le alte dirigenze hanno spostato l’attenzione sul governismo, dimenticando da un lato di battagliare per i temi su cui si fonda la costituzione del partito che rappresentavano, dall’altro, su un piano puramente politico, hanno spezzato il contatto con la base. I segretari di circolo e gli amministratori locali erano troppo periferici per entrare nel dibattito, qualora uno ve ne fosse stato. Questo non solo a livello nazionale, ma anche di Federazioni.

Ho votato il partito anche quando ne sono uscita fuori, perché ho sempre sperato in una ripresa, che si trattasse di un ciclo naturale. Anche perché non vedevo valide alternative altrove. O forse perché mi sentivo ancora troppo coinvolta.

E invece, ho assistito, negli ultimi anni, ad una vera e propria involuzione democratica del partito. E credo di non essere stata la sola, considerati gli ultimi risultati elettorali.

All’indomani del voto abbiamo assistito ad un’analisi grossolana e poco attenta: ci si è chiesti perché, forse non abbiamo ascoltato le vere esigenze degli iscritti, non avevamo capito che ci fosse questo malcontento.

Ma cosa si aspettano i dirigenti se in tutta Italia hanno chiuso circoli anziché aprirli? E quante le federazioni commissariate?

Per quanto riguarda la mia esperienza, le due case del PD dove sono cresciuta sono state chiuse: la prima Centro storico di Via dei Giubbonari di Roma e la seconda “Moro-Berlinguer” di Mattinata.

Nessuno si è preoccupato dei tanti iscritti e attivisti che hanno speso tempo e passione in quei luoghi (oltre a essersi autofinanziati con sacrificio). Letteralmente abbandonati.

Così come, sempre a Roma, è successo allo storico Circolo PD San Lorenzo, chiuso alla vigilia del suo 60esimo anniversario. A dirigerlo era il mio amico e compagno Marco Giordano, di origini cerignolane.

E oggi ascolti, durante le assemblee, dirigenti dire che bisogna tornare ai territori. E come fai a stare sul territorio se non hai un circolo, una casa? Forse si pensa che la politica possa essere dibattuta su Facebook. No, vi prego. Quella è la vera deriva dell’ignorantismo. E il PD non può diventare anche questo. Ci si aspetta di più.

Non può restare in silenzio di fronte agli scandali delle tangenti del Parlamento Europeo e allontanare le persone per bene, solo per paura di essere perdenti. Lasciare inascoltati i giovani democratici che avevano ben intuito l’errore in cui stava cadendo il partito.

È fondamentale in un Congresso parlare di precariato, transizione ecologica, guerra, emancipazione femminile, riscatto del Sud, emancipazione culturale e scuola. Questi sono temi su cui basare la politica. Ma da un partito che ha in sé l’aggettivo democratico, ti aspetti di più. Molto di più.

15 anni fa, in quella sintesi “Partito Democratico” c’erano le biografie collettive della sinistra storica di questo Paese: socialista, comunista, azionista, del cattolicesimo democratico, dell’ambientalismo, del pensiero femminista, dell’istruzione, del progresso, della cultura dei diritti.

C’era la consapevolezza che, per fare fronte ai mutamenti che si ponevano di fronte a noi e in noi, nessuno potesse bastare a sé stesso.

Sono venute a mancare più di una di quelle culture, pezzi importanti per raggiungere l’obiettivo di una democrazia sana.

Non è stato più riconosciuto chi è in prima fila: sindaci e amministratori locali che con il loro impegno quotidiano sono sempre più soli (anche grazie ad una legge elettorale antidemocratica che impone listini bloccati e scelte dall’alto e alla quale il PD non ha mai avuto il coraggio di opporsi).

Oggi al popolo democratico non serve un nuovo programma di governo. Il voto è avvenuto il 25 settembre. Un partito popolare e democratico deve, come primo obiettivo, far emergere la sua alternatività alla destra. Deve fare emergere le sue idee. Serve la potenza di un pensiero. Non si tratta di tornare al passato, non può il passato dare le risposte per i temi di oggi.

Si tratta di un recupero della democrazia popolare, della condivisione, della partecipazione dal basso.

Che parte dai circoli, dalla gente, dagli iscritti e dagli operatori economici dei territori della nostra bella Italia.

La politica ne è sempre più lontana, PD compreso. E quest’ultimo è la forza che più di tutte ha deluso, viste le alte aspettative alla sua nascita.

Non servono governatori alla guida di un partito che ha ambizioni che vanno ben più oltre i temi di governo, ma un leader a tempo pieno. Lo Statuto va rivisto. Il segretario deve essere il segretario, il governatore di una città, regione o nazione deve essere un’altra persona.

È vero, non sono più dentro, ma per un quarto della mia vita ci sono stata. Pertanto, da cittadina e da donna con idee progressiste e democratiche, mi auguro che domenica non sia eletto – come si suol dire in questi mesi – il futuro/futura ex segretario/a del PD, ma la persona che davvero possa riportare i valori del centrosinistra al Parlamento e sui tavoli delle decisioni e che possa ricomporre quei legami sociali e ridare volto a pezzi di società rimasti fuori.

Perché mai come oggi noi italiani abbiamo bisogno di ritornare a pensare alle nostre ambizioni, a parlarne concretamente e a trovare le soluzioni più consone per uscire dalla crisi socio-economico-culturale che ci avvolge.

Mai come adesso la politica ha bisogno di più cuore e meno interessi personali. E forse in questo, una donna potrebbe dare di più!

Buon weekend a tutti voi.