Violenza sulle donne la “voce” contro chi prova a farci stare zitte
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1 dicembre 2023
Sabato 25 novembre, in vari teatri e luoghi di ritrovo pubblico, è stata celebrata l’importantissima giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, data che segna anche l’inizio dei “16 giorni di attivismo sulla violenza di genere” che precedono la Giornata mondiale dei diritti umani del 10 dicembre di ogni anno.
Quest’anno la ricorrenza è stata connotata di significatività più intensa anche per il terribile femminicidio alla giovane Giulia Cecchettin che ha scosso l’opinione pubblica in modo contagioso: tutti noi ci siamo sentiti genitori, amici o sorelle di Giulia e abbiamo sentito il cuore scosso.
Da sempre partecipo a manifestazioni in questa giornata, prima per impegno politico e ora per senso civico e di appartenenza, e questa volta credevo di assistere alla solita manifestazione che, per quanto utile e costruttiva, avrebbe contribuito a ricordare e spiegare cosa fare in caso di pericolo e come “curare” il problema con accenni alle radici del problema.
E invece sabato sera ho assistito a uno spettacolo teatrale che ha colpito al cuore, che ha sviscerato il problema alle sue radici, con quel velo sottile di ironia che ha dato maggior enfasi alla tesi.
Nel teatro “Il palco in una stanza” – ideato e creato proprio da una donna, la soprano Francesca Rinaldi, artista che ha portato lustro negli anni a Manfredonia – la compagnia romana EraCruna ha interpretato “La voce. Per tutte quelle volte che hanno provato a farci stare zitte”.
Prima dello spettacolo ho conosciuto gli attori, giovani ragazzi con l’entusiasmo nel cuore e la voglia di cambiare le cose.
Presa dalla curiosità, mi hanno spiegato il senso del nome EraCruna, una parola composta che racchiude la pietra Eraclea e la cruna di un ago che hanno in comune una cosa.
Socrate affermava che fossero le Muse a far parlare i poeti, imprimendoli di una forza tale che intrecciava tutti gli artisti in un’unica grande catena. Una forza ispiratrice che agisce come un magnete: una pietra Eraclea. Ogni artista diventa un anello reattivo, che viene attratto e si lascia attrarre. Uno di questi anelli, cerca il bisogno di sentirsi una parte più incisiva, che possa lasciare un segno, come la punta di un ago. Così è successo al loro anello che si è trasformato in una cruna, un anello piccolissimo in cui si addentra il filo di un’arte viva, pronto a cucire storie sempre nuove.
E quella di sabato è stata una storia nuova per me, che mentre ammiravo la loro arte, mi sentivo affascinata da quel magnete che, attirandomi a sé, mi ha fatto percepire il senso di tutto.
Attraverso monologhi e dialoghi, gli artisti ci hanno fatto raggiungere il problema alle sue radici. Comportamenti quotidiani, della vita comune, modi dire e di parlare, abitudini ad attribuire, ceteris paribus, certi retropensieri solo alle donne piuttosto che agli uomini, linguaggi che anche i più insospettabili si danno per scontato.
La rappresentazione della famiglia siciliana che la domenica mangia la lasagna perfettamente preparata dalla moglie, il marito orgoglioso e fiero di pensare a tutto l’occorrente “economico”, mentre la figlia, femminista e disperata, contesta un post sui social di suo padre in cui afferma di essere diverso dall’uomo violento, facendogli notare che è responsabile di certi atteggiamenti che riportano la donna a ruoli “da femmina”, pertanto responsabile di una cultura malata che non salverà il mondo.
I monologhi maschili sono stati densi di significato, facevano sentire il disdegno “vero” dell’altro sesso rispetto alla cultura retrograda che non vuole riconoscere alla donna il suo valore e, quindi, il suo ruolo sociale paritario e dignitoso.
Libera, emancipata, capace di stare nella società con i propri sogni da realizzare senza discriminazioni, senza paura di essere troppo bella, senza più pregiudizi e gelosie che inquinino i rapporti sentimentali: questo il ritratto di donna emerso dal palco, una donna che non deve più curare ma che deve trovare i presupposti giusti in una società più giusta.
Allora credo che l’esperimento della cruna abbia funzionato con me, e non solo. La cultura, solo quest’immenso valore il cui nome spesso viene abusato, può salvarci.
Se impareremo a studiare di più, a educare di più, a formarci di più, a metterci in discussione, allora le cose davvero possono cambiare.
Ora è sì il tempo di curare, di rafforzare i centri di violenza, di stare vicino alle donne in pericolo e di stare attente a scongiurare qualunque pericolo. Ma ora è anche il tempo di puntare a eliminarlo il pericolo, di aumentare i livelli culturali di ogni piccola e grande comunità e fare le scelte giuste.
I rimedi sono la cura, la cultura è la prevenzione; e prevenire è meglio che curare!
Ringrazio i ragazzi della compagnia EraCruna per aver centrato l’argomento e per aver accresciuto il mio grado culturale: anche una serata a teatro ci può migliorare e credo che oggi più che mai, tutti ne abbiamo bisogno.