Fuga dalle urne in Liguria, il 20% decide tutto

Libera Scirpoli

Il voto delle Regionali in Liguria è terminato al fotofinish con la vittoria del candidato del centrodestra, il sindaco di Genova Marco Bucci.

Ma il risultavo vero, su cui fare una riflessione profonda, è stato quello segnato dall’astensionismo: solo il 46% dei liguri si è recato alle urne.

Un risultato incredibile, addirittura prepotente in alcune province. Questo è il dato su cui tutti dovrebbero riflettere, perché chi ha vinto? Governerà una persona (per quanto competente e preparata) che non rappresenta neanche il 20% degli aventi diritto al voto.

Una fotografia sociale agghiacciante.

Cosa sta succedendo? Innanzitutto chi non vota più? Sono domande da porsi urgentemente oggi che il fenomeno è strutturale e sta ammalando il nostro sistema democratico. Ho consultato l’analisi che l’Istituto Swg ha diffuso sui media. Secondo i dati ufficiali, a scegliere di non votare sono stati soprattutto i più giovani, tra i 18 e i 34 anni, e le persone in condizioni economiche difficili.

I più giovani (18 – 24 anni) si sono orientati maggiormente sul candidato del centrosinistra, Andrea Orlando. Bucci, invece, è prevalso nettamente nelle fasce d’età 25-34 e 45-54 anni e solo di misura tra chi ha più di 54 anni.

Tra i più benestanti vi è stata una lieve preferenza per Bucci. Nel ceto medio c’è stato un equilibrio nel voto, mentre la stragrande maggioranza degli elettori con una condizione economica difficile (l’80%) ha disertato le urne.

La campagna elettorale, sebbene di forte impatto mediatico, è stata persa dal sistema politico.

La domanda elettorale era netta: proseguire in continuità con i quasi dieci anni di Toti votando Bucci, oppure scegliere l’alternativa del dem Orlando. La risposta, ancor più netta, di più della metà degli elettori è stata la diffidenza nei confronti di entrambi. I cittadini non hanno voluto scegliere.

Probabilmente, dunque, il terremoto giudiziario che ha colpito la regione non ha provocato tanto uno spostamento di elettori da un campo politico all’altro.

Il vero terremoto è provocato dalla mala gestio dei politici di tutti i partiti. Se gli italiani in condizioni economiche più difficili decidono sempre più frequentemente di non votare, vuol dire che la sfiducia è arrivata ad un livello che non si potrà più sottovalutare.

Il non voto si traduce e prende sempre più forma: è l’essenza stessa del sentimento di delusione e sfiducia nei confronti della politica.

Nei panni del neo eletto presidente della regione, ma anche di Orlando che è pur sempre un dirigente di partito, comincerei a praticare politiche di “ristrutturazione del debito democratico”.

Perché nei nostri confronti c’è un debito grave che va assolutamente ripagato. Lo stesso debito che gli attuali politici hanno nei confronti di chi li ha preceduti per creare un mondo libero e democratico.

Ripensando al recente film di Paola Cortellesi che stringeva tra le dita la “sua” tessera elettorale e ripercorrendo la storia del ‘900 d’Italia, le battaglie che lo hanno contraddistinto, i diritti prima calpestati e poi conquistati, ho provato nostalgia di qualcosa che si sta disgregando.

La nostra democrazia è ammalata, i giovani in difficoltà non credono più nelle istituzioni. E quando sono i giovani ad abbandonare, si perde la speranza dell’arrivo della primavera. E senza la primavera non germogliano i fiori della speranza.

Se il primo partito in Italia sta diventando l’astensionismo, diamogli il diritto di parola. Ascoltiamo cos’ha da dirci. Così si costruisce il futuro di un Paese, non nelle stanze chiuse dove l’unico obiettivo è stabilire le spartizioni di carriere e poltrone.

Il voto in Liguria è un monito a tutti noi, per il quale siamo tutti chiamati a riflettere.