MAL DI VIVERE DIETRO LA DECISIONE DI TOGLIERSI LA VITA
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LIBERA SCIRPOLI
“Spesso il male di vivere ho incontrato: era il rivo strozzato che gorgoglia, era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato. Bene non seppi, fuori del prodigio che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato”.
È una celebre poesia di Montale tratta da “Ossi di Seppia” che esprime il malessere dell’individuo.
I tragici eventi che in queste settimane hanno caratterizzato le nostre comunità, i suicidi di 3 uomini a Manfredonia prima e a Mattinata poi (oltre uno tentato) ci segnano profondamente.
Le notizie sono volate, se ne è discusso e si è rivolto il profondo pensiero di cordoglio alle famiglie.
L’ultimo episodio di Mattinata mi ha portato in uno stato di tristezza, perché per la terza volta l’uomo ha ceduto di fronte alle sue fragilità, perché era un mio coetaneo nato e cresciuto nella mia terra.
Cosa ci rende così fragili? Una delusione d’amore? L’idea di non essere adeguati? L’idea di aver fallito? O forse la sensazione, ai primi bilanci della vita, che le speranze non siano state attese?
Non lo potremo mai sapere appieno, fatto sta che tre vite si sono sentite fragili e in disarmonia con il mondo e hanno deciso di spegnersi a pochi giorni di distanza l’una dall’altra.
Non sono io quella in grado di poter sviscerare la natura di questi episodi, nè ho i mezzi per poterlo fare. Voglio solo leggere, da donna di questa comunità, il messaggio che ci viene lasciato da vite che non sono riuscite a trovare un’alternativa, magari quella “divina indifferenza” a cui fa riferimento cui Montale e che spesso ci salva di fronte a periodi critici delle nostre esistenze.
Ciò che oggi mi spaventa sono alcuni metodi accettati e legittimati di fare e procedere.
Ognuno può rovinare la vita dell’altro senza conseguenze, ognuno ha il diritto di screditare l’altro sui nuovi mezzi di comunicazione social (io ne sono una vittima per esempio).
E poi vorrei esprimere un mio pensiero sui rapporti. Oggi la maggior parte dei sentimenti (dall’amicizia alle coppie) si vivono con il controllo e il possesso. Assisto a notifiche da parte di persone di ogni azione e messaggio al cellulare per “paura” o “timore”. Il controllo lo si esercita anche attraverso le notifiche sui social, gli ingressi “on line”, le visualizzazioni, etc.
Un uomo e una donna fondano il proprio rapporto sul controllo e sulla non accettazione del rifiuto o della fine. Si decide, a quel punto, di rovinare la vita dell’altro.
E chi si sente fragile e sconfitto non trova l’alternativa nella società. Il sentirsi inutile e fallito su un piano privato non trova conforto nella vita sociale, che spesso ci conduce a precarietà e insoddisfazione.
Ecco perché ritengo che, su un piano clinico sia giusto l’intervento degli esperti, ma su quello sociale bisognerà ricominciare a guardarsi negli occhi e ragionare sulle cose che non vanno.
Iniziare ad avere la forza di allontanare i modus operandi tossici che inquinano comunità ed animi.
Le nostre nonne non avevano nulla, la guerra le aveva portate sin da giovanissime al sacrificio e agli stenti. Eppure erano contente e orgogliose di quello che avevano costruito con le proprie mani, da sole, senza genitori sempre dietro a contare ogni passo e a gestire ogni azione delle proprie vite. Eppure proprio loro ci hanno lasciato in eredità i valori nobili del rispetto e della dignità.
Sono triste e rammaricata per questi tragici eventi, e mi auguro di poter vedere qualcosa cambiare con dei piccoli primi gesti di rispetto verso le vite degli altri.
Non mi sento di aggiungere altro, voglio solo che il gesto dei tre uomini che non sono riusciti a reggere il proprio malessere, non resti indifferente nel tempo e faccia cominciare un percorso vero verso il rispetto di un valore fondamentale: la vita, quella nostra e quella del prossimo.