LA RAI DIVENTA MEGAFONO DELLA MAGGIORANZA
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LIBERA SCIRPOLI
Negli scorsi giorni è entrato in vigore il nuovo regolamento sulla par condicio in RAI in vista delle Europee dell’8 e 9 giugno 2024. La commissione di Vigilanza Rai ha approvato il regolamento, nonostante il voto contrario di tutte le opposizioni. La maggioranza ha deciso di andare avanti sugli emendamenti contestati dall’opposizione sull’informazione governativa, provocando le proteste di tutti i partiti di minoranza.
Le opposizioni, che parlano di “occupazione del governo e della stessa maggioranza degli spazi televisivi Rai” – unite – polemizzano sull’approvazione di un emendamento sull’informazione governativa, che dopo la modifica apportata dalla maggioranza consentirà che l’applicazione della par condicio nei programmi di approfondimento informativo faccia in ogni caso salvo il principio e la necessità di garantire ai cittadini “il diritto a una puntuale informazione sulle attività istituzionali e governative”.
La maggioranza ha poi anche approvato un emendamento secondo cui le dirette dei comizi elettorali dovranno essere precedute da una sigla per essere distinte dalle edizioni dei Tg.
In conseguenza a questa decisione, tutti i Tg Rai hanno letto un comunicato di Usigrai (il sindacato dei giornalisti Rai) con il quale i giornalisti rivendicano la propria autonomia giornalistica, professionale e deontologica. In sostanza affermano con preoccupazione che la maggioranza di governo ha deciso di trasformare la Rai nel proprio “megafono” attraverso la Commissione di Vigilanza che ha approvato una norma che consente ai rappresentanti del governo di parlare nei talk senza vincoli di tempo e senza contraddittorio.
Parole e situazioni forti che hanno scosso me e i tanti italiani che, tornati dal lavoro, apprendono queste notizie con annessi e connessi commenti (spesso scontati in base al partito di appartenenza) nei vari talk che dal mattino alla notte ormai entrano in tutte le case.
Premesso che l’informazione “pura” e non commissionata sta venendo sempre meno in Italia, ritengo che tale fenomeno vada analizzato sotto un duplice aspetto: da un lato l’accrescimento del giornalismo “opinionista” in tutte le trasmissioni politiche, dall’altro la presa di forza del governo che sta trasformando la RAI in Eiar o Istituto Luce: il passaggio definitivo dal servizio pubblico a quello di Stato e di governo.
Sul primo punto, quello del fenomeno dello scambio di opinioni dei giornalisti in TV, fenomeno tutto italiano, bisognerebbe ripristinare una certa professionalità e deontologia: l’informazione è informazione e non può e non deve manipolare le opinioni altrui. Ne, come accade spesso, rovinare le vite altrui per favorire qualche committente avido e poco propenso a battere l’avversario sul campo di gioco.
Mentre sul secondo, quello della “presa della RAI”, bisognerebbe rileggere la Costituzione. Tutti noi la dovremmo rileggere.
L’imparzialità del mezzo di informazione pubblica deve essere garantito. È vero, spesso è capitato un favoritismo più a destra o più a sinistra, in base alle circostanze o alle epoche, ma si trattava di fenomeni passeggeri e non cristallizzati da una legge. La cosa sarebbe preoccupante, allo stesso modo, se domani dovesse andare a Palazzo Chigi un governo di sinistra. È il principio che va salvaguardato, non questa o quella parte politica: la par condicio non può essere squilibrata da un lato o da un altro, deve garantire, come il termine stesso dice, la parità di condizioni e la voce delle minoranze, sempre.
Nessuna parte politica può permettersi di stracciare le regole della par condicio televisiva: da oggi la forza di maggioranza potrà imperversare in tutte le reti vestendo una volta il ruolo di governo e una volta quello di maggioranza. Così solo in Ungheria, ecco perché ciò non può accadere in uno Stato democratico e progressista dell’Europa, come l’Italia ha sempre affermato di essere.
Intanto in RAI, mentre anche Amadeus va via, lo stato di agitazione ha raggiunto l’apice e i giornalisti, in rivolta, proclamano lo sciopero di cinque giorni.
In un momento storico in cui parte del mondo dell’informazione è già in crisi identitaria e deontologica, l’autonomia politica della storica azienda, in futuro, potrà essere ancora garantita?