l’autonomia differenziata con garibaldi e cavour
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LIBERA SCIRPOLI
Il disegno di legge sull’autonomia differenziata delle Regioni, presentato dal ministro leghista Roberto Calderoli è diventato legge.
Una proposta molto discussa sin dalla sua origine, in particolare dagli esperti di economia e sociologia, e su cui l’opposizione ha battagliato e continuerà a farlo.
Ma cosa prevede il testo di questa legge?
Il ddl sull’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario – anche noto come ddl Calderoli – è una legge puramente procedurale per attuare la riforma del Titolo V della Costituzione messa in campo nel 2001.
In 11 articoli definisce le procedure legislative e amministrative per l’applicazione del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione. Si tratta di definire le intese tra lo Stato e quelle Regioni che chiedono l’autonomia differenziata nelle materie indicate nel provvedimento.
Nel testo è specificato che le richieste di autonomia devono partire su iniziativa delle stesse Regioni, sentiti gli enti locali.
Le materie su cui si può chiedere l’autonomia sono 23. Tra queste ci sono Tutela della salute, Istruzione, Sport, Ambiente, Energia, Trasporti, Cultura e Commercio estero.
Il riconoscimento di una o più “forme di autonomia” è subordinata, per la maggior parte delle materie, alla determinazione di Lep: criteri che determinano il livello di servizio minimo che deve essere garantito in modo uniforme sull’intero territorio nazionale. La determinazione dei costi e dei fabbisogni standard, e quindi dei Lep avviene sulla base di una ricognizione della spesa storica dello Stato in ogni Regione nell’ultimo triennio. Per due materie, sanità e ambiente, i Lep sono già definiti (in questi casi si chiamano Lea e Lepta). Nove materie sono ‘non Lep’, dunque immediatamente trasferibili: tra queste commercio con l’estero, previdenza complementare, professioni, protezione civile, rapporti internazionali e con Ue, coordinamento con finanza pubblica e sistema tributario.
Senza la determinazione dei Lep e il loro finanziamento, non sarà possibile per una regione ottenere un livello maggiore di autonomia.
Intanto, la Commissione europea boccia l’autonomia differenziata, proprio nel giorno in cui il provvedimento è diventato legge poiché “il ritorno di competenze aggiuntive alle regioni italiane comporta rischi per la coesione e per le finanze pubbliche”.
Nello Staff working document che accompagna le raccomandazioni specifiche per l’Italia e che mercoledì 19 giugno ha portato all’avvio della procedura d’infrazione per deficit eccessivo, l’esecutivo europeo spiega tutte le perplessità sul provvedimento.
Qualche anno fa ho sostenuto il referendum per il “SI” promosso dall’allora segretario del PD Matteo Renzi.
Non lo facevo solo perché a mia volta rappresentavo quel partito a Mattinata (dove fu costituito il primo comitato per il “sì “in Puglia in una calda serata di agosto), ma perché ci credevo davvero. Alcune materie andavano riportate alla competenza dello Stato per non subire una spacchettatura dell’Italia.
Purtroppo poi quel referendum non ebbe esito positivo per il suo utilizzo di misurazione della leadership di Renzi.
A distanza di anni non ho cambiato la mia visione. Questa legge tenderà a rendere il divario sociale italiano ancor più marcato.
La possibilità concessa alle Regioni ricche (il Nord) di trattenere più gettito fiscale configurerà un extra finanziamento destinato ad alimentare prestazioni sanitarie aggiuntive per alcuni cittadini rendendo un diritto costituzionale funzione del reddito e della residenza. Chi risiede in Regioni “forti” si curerà, gli altri potranno solo aspettare o migrare o rinunciare alle cure, come già fanno 4,5 milioni di italiani. Un sistema indebitato e sottofinanziato, che esplicitamente esclude “aggravi” per la finanza pubblica, come potrà colmare l’attuale differenza del 25% di spesa sanitaria individuale tra Nord e Sud?
Si sancisce, così, la fine del welfare state unitario, per anni elemento cardine della nostra democrazia, e le cure non saranno più garantite in maniera omogenea secondo il dettato dell’art 32 della Costituzione.
Per non parlare del mondo delle professioni e del lavoro che, con l’avvio di una concorrenza selvaggia nell’acquisizione delle risorse umane nutrita dal dumping salariale e dalle incentivazioni regionali, svuoterà di valore il CCNL dei dipendenti.
Anche il mondo della scuola insorge perché si finirà con il differenziare l’organizzazione didattica andando a toccare anche graduatorie e stipendi del personale. Differenziare programmazione, offerta formativa e percorsi di alternanza scuola-lavoro, decidere in maniera autonoma l’assegnazione di contributi alle scuole paritarie e regionalizzare sia i fondi statali per il diritto allo studio che il trattamento economico del personale scolastico. Per la scuola l’autonomia differenziata potrebbe tradursi in tutto ciò.
Il timore è di tanti e le opposizioni già preannunciano la raccolta firme per un referendum abrogativo.
E intanto, tra il disappunto della minoranza, alcuni parlamentari di maggioranza sventolano in Parlamento le bandiere padane e delle proprie Regioni (del Nord).
Cavour e Garibaldi cosa ne penserebbero?
Fatta l’Italia, ora bisogna fare gli italiani?