Tutta la sostanza del business della moda

29 settembre 2023

Da qualche giorno si è conclusa la settimana della moda a Milano. Secondo uno studio di Confcommercio la fashion week ha portato a Milano un indotto di più di 70 milioni di euro con 270 eventi.

Si sono incontrati stilisti e acquirenti e venduti prodotti di lusso.

Durante un servizio mi è rimasta impresso il racconto della vendita di una borsa di 80.000 euro e lo show dell’auto più lussuosa al mondo.

La donna è stata, come sempre, la figura indiscussa delle sfilate: gli stilisti hanno proiettato la donna del futuro, sexy e glamour senza mai dimenticare femminilità ed eleganza. Attraverso le sfilate, sono stati raccontati periodi artistici come il neoclassicismo, concetti filosofici e storici come la rinascita e la rigenerazione.

Il 2022 è stato un anno da record per la moda italiana, dopo le restrizioni della pandemia, con quasi 100 miliardi di fatturato.

La richiesta del made in Italy è folle. Capi sempre più pregiati e costosi. Gli stilisti parlano di tessuti preziosi (ad esempio giacche realizzate a telaio come faceva Lucia ne “I Promessi Sposi”).

Esportiamo il 70 – 80% della nostra produzione.

Carlo Capasa, presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana, parla di lavoro artigiano su cui si basa quasi tutta la produzione.

Una stilista, mostrando un maglione verde fatto a maglia, impreziosito di oggetti, ha affermato che sia impossibile da riprodurre a macchina. E questa, nell’era della tecnologia, è una bella notizia. Tuttavia è un dato di fatto che si trovino sempre meno figure qualificate come modellisti e ricamatrici, la carenza di competenze specifiche mette a rischio un mercato in forte crescita, sebbene parzialmente compromesso dalla guerra.

Alcuni buyer – le figure esperte di moda che analizzano il mercato – durante la settimana fashion hanno affermato di sentire la mancanza dei Russi e dei Cinesi, i primi fermi per via della guerra, i secondi degli effetti pandemia.

I russi da soli portavano all’economia della moda circa il 30% di contributo.

Tuttavia, mentre il negozio fisico ha subito e sofferto per tali congiunture, il mercato virtuale è riuscito a risollevare le sorti, anche nei confronti dell’area russa.

Il fenomeno virtuale investe, dunque, tanti settori, anche quello della moda.

Considerata quest’introduzione che vede la moda un settore trainante e fondamentale per l’economia italiana e per l’indotto occupazionale, mi voglio soffermare, anche da consumatrice, sulle nuove figure che ruotano intorno a questo mega indotto.

Tra le dive in prima fila in passerella, oggi ci sono le fashion blogger, nuova figura di riferimento della moda.

Ma sono davvero loro il futuro della moda? Indubbiamente bisogna dargli atto di rappresentare le teste d’ariete di un sistema enorme e, per certi versi, impenetrabile.

Il loro successo è basato sui click. Ma i livelli qualitativi sono molto bassi e poco propositivi.

Molto interessante è stato l’articolo pubblicato sul sito di Vogue America, che mi fa ben sperare su un loro ridimensionamento, a commento della settimana di Milano, dove queste figure venivano criticate in modo molto duro e pesante: “si prestano a indossare vestiti regalati dai marchi, spesso senza alcun gusto e cercando di mettersi in mostra per farsi fotografare dagli street photographer. Vengono definite via via “tristi”, “imbarazzanti” e “patetiche”

Sally Singer ha criticato l’abitudine dei blogger di cambiarsi in continuazione: “consiglio ai blogger che si cambiano ogni ora da capo a piedi e sono pagate per farlo: per favore, smettetela. Trovate un altro lavoro, state causando la morte dello stile”. E aggiungerei, anche dell’etica ambientale e dell’identità.

Oggi vanno di moda quelli che stanno fuori dalle sfilate vestiti in modo eccentrico e che “rischiano la vita in mezzo al traffico pur di farsi fotografare”.

Insomma, un po’ come avviene in altri campi, si stanno osannando certe figure che, pur di fare cassa, pubblicano in continuazione senza più avere un’identità, solo per il valore di un click e della sua moltiplicazione.

Tra l’altro, molti di loro non sono nemmeno blogger, in quanto un blog non ce l’hanno più (bisognerebbe poi riempirlo di contenuti) e hanno solo voglia di apparire e mettersi in posa.

Condivido il concetto lanciato dalla rivista di moda più autorevole al mondo. Un po’ come se le blogger volessero cavalcare, senza successo, i passi di Grace Kelly, e Jane Birkin che indossando le borse Hermes ne hanno fatto un mito, così come Jaqueline Kennedy con la mitica borsa Gucci nei sui viaggi a Capri. Oggi quei capi portano i loro nomi e sono costosissimi. Ma loro non erano del mestiere, è stata la loro personalità ad essere vincente. Oggi dov’è questa personalità?

Il loro contributo di immagine e pensiero alla moda è veramente povero.

Il blogging che resterà domani sarà quello che apporterà contributo aggiuntivo a ciò che c’è già. Oggi loro usufruiscono di un contributo che già esiste e non aggiungono niente.

Vincerà domani chi sia nel giornalismo che nel blogging tornerà a fare notizia e tornerà a dare valore aggiunto a ciò che vede.

La moda è un comparto serio e importante per la nostra economia, ecco perché le figure che ruotano intorno a questa grande macchina, devono essere al tempo stesso, serie e competitive. Come in tutti i campi, è lo studio che porta i risultati.

Giorgio Armani lo ricordava in una sua recente intervista. “La qualità viene dallo studio, dal lavoro serio e responsabile”.

Mi viene in mente la famosa riunione nel film “il Diavolo Veste Prada”, quando per programmare la rassegna della rivista Runway (il riferimento era a Vogue), erano tutti nel panico – per la scelta della direttrice Miranda – tra due cinture cerulee, a prima e seconda vista identiche.

Per far comprendere l’importanza della scelta e del tempo investito in essa a chi riteneva inutile e ridicola una cosa del genere, lei rispose che quella selezione rappresentava “milioni di dollari e innumerevoli posti di lavoro”.

Quindi, non basta indossare un abito e farsi fotografare per strada.

Bisogna dare quel valore aggiunto, anche nelle scelte, come in tutti i campi della società.

Perché lo specchio di ogni società è nel senso di responsabilità e nel lavoro che tutti i giorni noi ci mettiamo. E la moda non è solo immagine, è contributo alla ricchezza del nostro Paese, perciò salvaguardiamola, con meno foto e più sostanza.