Storia (bella) di sport, donne e resilienza a Mattinata
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11 novembre 2022
Qualche giorno fa, su le pagine de l’Attacco, si è parlato di una storia bella. Una storia di sport e resilienza.
Anche in tempi difficili, in un paesino di 6.300 anime, Mattinata, dove non sempre i sogni trovano lo sbocco giusto, un gruppo di donne resiste e cerca di mantenere attiva la storica palestra presente nella comunità.
Leggere quella pagina per me ha significato ripercorrere i ricordi di adolescente quando, con disciplina e passione, frequentavo tutte le lezioni e Mariagrazia, la titolare, era un pieno di energia positiva per noi ragazze.
Oggi comprendo quanto sia stato importante per me (e ringrazio i miei genitori che mi hanno inculcato certi valori) la disciplina dello sport, non solo sul piano fisico e salutistico, ma anche a livello educativo e sociale.
Il ruolo che lo sport può ricoprire a livello sociale è sempre più importante.
Oggi è fondamentale non sottovalutare il valore culturale delle discipline sportive, intese come un ambiente dove poter far crescere l’essere umano in tutte le sue caratteristiche.
L’antropologo Marcel Mauss definisce la pratica sportiva come “un fatto sociale”, cioè un complesso di attività che comprende ambiti diversi, che spaziano da quello puramente sportivo fino ad arrivare alla politica.
Oltre a insegnare le basi del lavoro di squadra, la bellezza dello stare insieme, la necessità di rispettare le piccole regole quotidiane, lo sport promuove una maggiore conoscenza di sé e dell’altro.
Esistono diverse realtà regionali in cui sono stati siglati protocolli per lo sport come mezzo di inclusione sociale al fine di favorirne la diffusione tra gli utenti delle Comunità terapeutiche e dei Centri di prevenzione e recupero della tossicodipendenza.
Lo sport diventa strumento di prevenzione e di recupero dalla droga e disagio giovanile, unisce alcune tra le più importanti realtà (Fondazioni, Enti, Associazioni) che da anni si occupano in Italia e in altri Paesi del Mondo di tossicodipendenza, carcere e gravi marginalità sociali.
Anche la Regione Puglia è attiva da questo punto di vista. Con l’iniziativa “Regione Puglia, sport e disabilità” sono stati offerti sette progetti per l’integrazione dei ragazzi con disabilità al fine di diffondere valori come lealtà e rispetto delle regole, e far diventare la pratica sportiva un mezzo per conoscersi, imparare insieme ad arrivare al traguardo e superare le barriere.
C’è poi un altro aspetto: con la forte accelerazione impressa dalla pandemia alla voglia di praticare attività sportiva all’aria aperta, cresce l’esigenza di immaginare delle città sempre più a misura di sport, ripensando non soltanto l’utilizzo degli spazi pubblici urbani, ma puntando anche al generale benessere psicofisico della collettività. Parchi, strade, piazze, periferie da riprogettare nell’ottica di migliorare la qualità della vita dei cittadini e diffondere anche la cultura dello ‘star bene’ all’interno delle proprie città che devono cambiare aspetto e diventare delle vere e proprie ‘sport city’.
Gli studiosi affermano che nei prossimi 10 anni abbandoneremo lo stile di vita frenetico per curare di più salute psicologica e relazioni familiari, avremo più relazioni tra noi ma saranno ‘figitali’, armonicamente alternate tra incontri fisici e digitali.
Una rivoluzione umanista sostenuta da quella digitale. In questa rivoluzione umanista abbiamo riscoperto l’importanza del corpo, tanto che anche durante il lockdown l’84% dei giovani italiani ha svolto attività fisica, in casa o, quando consentito, all’aria aperta.
Lo sport diventa anche una leva sociale per il lavoro, sia per chi lo pratica a livello professionistico, sia per chi crea impresa e fa nascere sul mercato offerta di servizi e professioni legate a palestre e luoghi di sport in generale.
Viene da sé che sia anche fautore di quel processo di aumento del livello di legalità delle tante comunità interessate a un cambiamento positivo degli standard politico-sociali.
In tante realtà d’Italia sono nati i cosiddetti “laboratori della legalità” rivolti agli studenti delle scuole di ogni ordine e grado mediante percorsi formativi con l’obiettivo di sensibilizzare gli studenti alla cultura della legalità con particolare attenzione all’importanza dello sport come strumento di promozione della legalità e della cittadinanza.
“Libera lo sport” è l’iniziativa dell’associazione Libera contro le mafie che tende a spiegare come la disciplina sportiva possa servire proprio a far giocare la partita significativa in un Paese che ha bisogno di rieducarsi, di riconoscersi, di tornare a sentirsi una squadra. Una partita dove in qualche modo nessuno perde. La partita del buon esempio.
Lo sport aggrega e rieduca, e fa riaccendere la speranza in chi è ai margini.
È successo nel torneo “D(i)ritti in rete” organizzato da Libera, un mini campionato di calcio a 5, organizzato a Torino e Messina, con la partecipazione dei ragazzi impegnati nel progetto “Amunì”, una cinquantina di giovani, tra i sedici e i vent’anni, sottoposti a procedimento penale da parte dell’Autorità giudiziaria minorile e impegnati in un percorso di riparazione. Ogni squadra “Amunì” ha adottato una vittima di mafia, conosciuto la sua storia e portato il suo nome sulla maglia. Anche lo sport può infatti educare al valore della memoria, specie in quei ragazzi il cui destino sembra già segnato!
In questi anni opachi per la nostra provincia, in cui abbiamo assistito a diversi fenomeni distorsivi per la legalità e per il livello etico di piccole e grandi comunità, lo sport può e deve dare l’esempio perché ha un potenziale immenso.
Esso è sicuramente portatore di valori e influenze positive per la società, è parte integrante della cultura contemporanea, costituisce un fattore di civiltà che influenza gli stili e le scelte di vita di una molteplicità di persone. Insegna il vivere l’uno nel rispetto dell’altro.
Speriamo che se ne accorgano in tempo istituzioni e docenti, per far sentire unite le nostre comunità non solo quando sventola il tricolore per una partita del mondiale, ma anche quando bisogna restituire un sogno a una bambina che non ha l’opportunità di vivere lo spogliatoio con le compagne, solo perché nata in un contesto sociale che non glielo permette.
Lo sport, come un teatro, può cambiare la vita delle persone. Può insegnare che non si diventa migliori prendendo scorciatoie, urlando contro l’avversario, non accettando il verdetto. Ti fa capire che viene prima il noi e poi l’io.
Un sentimento di cui questo Paese ha urgente bisogno.
Allora speriamo che la resilienza di chi non molla il sogno dello sport (come Mariagrazia e le altre amiche di Mattinata) sia accompagnata dalle scelte giuste della politica.
Perché loro lo hanno capito tempo fa: anche se lo sport è un gioco, è arrivata l’ora di prenderlo sul serio!