La mia vita cambiata da quel 28 giugno
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29 giugno 2023
Ci sono quelle date che ognuno di noi ricorda per un motivo particolare.
Un anno fa, tra i miei effetti personali, ho aggiunto il 28 giugno. Era un periodo particolarmente pesante e anche triste.
Erano i giorni in cui stavo organizzando il viaggio per San Donato Milanese in vista dell’operazione a cuore aperto che avrebbe dovuto subire mio padre. Al contempo vivevo per la seconda volta la condizione di bersaglio di chi ingiustamente aveva deciso di utilizzarmi attraverso diffamazioni che, a tutti i costi, puntavano a ledere l’onorabilità della mia persona per un obiettivo diverso.
Da questa storia ho capito che nella vita ci saranno sempre momenti belli e momenti difficili. L‘importante e non cambiare mai e mantenere ben salda la propria dignità.
A me è stato rubato un sogno (frutto di sacrifici e scelte di vita) e io sono rimasta immobile, inerme, senza reazione alla prepotenza di quel gesto violento.
Fui esclusa con cattiveria dal contesto sociale e decisi di non parlare, quasi incredula di quanto stesse accadendo. Seguirono delusione e sfiducia. Evitavo di parlarne e mi imposi di chiudere per sempre ogni rapporto con la politica, nonostante gli inviti a restare nel partito, soffocando tutto, come si fa quando si decide di dimenticare qualcuno che si ama ancora.
Un anno fa non sono riuscita a tacere. Quello stupido senso di rassegnazione che mi pervase allora, come quando alla prepotenza si reagisce con l’impotenza, ha fatto riscattare in me il sentimento diametralmente opposto: la voglia di dire la verità e di affrancare la cattiveria subita.
Fu così che il 28 giugno dell’anno scorso ho rilasciato un’intervista contro ogni resistenza e contro ogni convenzione attraverso un intenso colloquio con il direttore di questa testata. Non è stato facile rompere lo schema, ma dentro di me era più forte la voglia di ritrovare quella che ero un tempo. Volevo tornare ad essere libera di essere me stessa.
Parlare non è facile, specie in questo territorio, specie per una donna. Ma era diventata una necessità ormai imprescindibile. Il velo del pregiudizio è il mezzo più disumano che possa esistere in una società civile.
L’idea che qualcuno possa prendere in mano le nostre vite e manipolarle ci dovrebbe portare sempre più al coraggio di parlare.
Dopo 5 anni di disinteresse assoluto (solo perché ero stata zitta e buona), questa volta si voleva giocare a delegittimare la donna per colpire il compagno.
Quasi come un orologio svizzero sono arrivati i sillogismi composti ad arte e del tutto lontani dal mio essere persona, professionista ed (eventuale) soggetto sociale.
Cattiverie gratuite che, questa volta, hanno puntato a ferire anche e soprattutto la dignità di donna.
Ma quante donne sono succubi di questo pregiudizio? Scrivo oggi perché penso vivamente che questo aspetto vada ribaltato in una provincia in cui pervade ancora un certo maschilismo mascherato da “apertura alle donne”.
Io che scrivo “persino” su una rubrica, credo che non abbiamo niente da dimostrare a nessuno, ma dobbiamo imparare ad avere il coraggio di dire la verità senza più paura.
Anche perché, i fatti sono emblematici: per esempio, mentre io decidevo di ritirarmi (ingiustamente), esponenti di quello stesso partito rappresentavano l’Amministrazione comunale a Manfredonia che redigeva i bilanci dell’Ente contro ogni dettato normativo sui principi contabili. Chi erano i responsabili? I dirigenti o la politica? Non si sa, o forse si sa, ma non si dice. Però intanto si parlava di altre persone innocenti.
Il mio nome, come quello di tante persone per bene, è finito sui giornali per colpe mai avute, quello dei responsabili di azioni contro il bene pubblico (certificate dalla Corte dei Conti) no. Quindi mi viene facile dire che viviamo in un sistema dove la verità viene celata da false accuse per distogliere l’attenzione sui veri danni alla società.
Per ribaltarlo basterebbe uscire allo scoperto e parlare, non solo per difendere la propria vita e i propri sogni, ma anche per difendere la dignità dei cittadini che vengono ormai imbottiti di falsità, mentre chi ha ruoli pubblici, troppo spesso, pensa solo al proprio tornaconto.
Ecco perché ho fatto mio uno dei più grandi insegnamenti che Aldo Moro ci abbia trasmesso, quello dell’onestà dell’uomo libero che vive nella verità: “Quando si dice la verità non bisogna dolersi di averla detta. La verità è sempre illuminante. Ci aiuta ad essere coraggiosi”.
Mi auguro che tutti noi impariamo ad essere ogni giorno più coraggiosi, per la nostra dignità e quella degli altri. Se tutti gli attori sociali costruissero di più seguendo la verità, il mondo, che insieme dovremmo costruire, sarebbe migliore.
Di certo, nella vita, non bisogna arrendersi mai.