la grande partita che si gioca sulla rai

2 giugno 2023

Sono questi i giorni in cui sentiamo parlare di RAI, del suo restyling, dei sui riassetti e degli addii importanti.

Come quelli di Fabio Fazio e Lucia Annunziata, che hanno annunciato di lasciare in dissenso con l’occupazione “selvaggia” del governo Meloni sulla gestione dell’azienda pubblica. Addii eccellenti che

mi hanno fatto pensare alla storia di questa azienda che tanto ha dato al nostro costume e alla nostra società.

Ripercorrere il cammino dal lontanissimo 1924 – quando cominciarono le trasmissioni radiofoniche – passando per il meno lontano 1954 – quando partì la televisione – dimostra, con la concretezza dei suoni, delle voci e delle immagini, che la RAI ha tanto dato agli italiani. Prodotti che nessun concorrente antico o moderno ha potuto dare.

Quando la radio e poi la televisione arrivarono nelle case degli italiani erano passati molti anni dall’unità d’Italia, eppure il loro contributo per la definizione di una Italia più unita è stato determinante; l’Italia era un Paese ancora ferito che stava con fatica costruendo una sua identità. Non a caso si dice che l’unità d’Italia la fece Garibaldi e che gli italiani li abbia fatti Mike Bongiorno. In termini sociologici non è una esagerazione, pensiamo per esempio all’uso dell’italiano: se la lingua letteraria era un patrimonio ormai acquisito, così non era nel parlato quotidiano. L’estensione dell’istruzione obbligatoria e la riforma del sistema scolastico, da Casati a Coppino, avevano preparato un nuovo modo di utilizzare una lingua, la nostra, che con l’avvento del Novecento trovò nella radio e nella televisione straordinari strumenti di diffusione.

La Rai è, dunque, un’istituzione e contemporaneamente la storia del nostro immaginario collettivo, attraverso i simboli che tutti riconosciamo, i programmi che abbiamo seguito, i volti che ci hanno tenuto compagnia e le pagine di storia che abbiamo condiviso con trepidazione, gioia, dolore, curiosità. I grandi cambiamenti sociali, culturali, scientifici dei quali l’Italia e il mondo sono stati protagonisti rivivono in tutte quelle teche che l’azienda custodisce per offrire allo spettatore la possibilità di confrontarsi interattivamente con il passato, il presente e il futuro, verso il quale i media devono continuamente proiettarsi per non perdere di vista le sempre diverse esigenze della comunicazione e dell’informazione.

I suoi volti sono stati e sono tanti. Quelli vissuti in contemporanea e quelli conosciuti dopo, proprio grazie alla memoria del passato.

Mi viene in mente Tito Stagno, storico giornalista che ha legato per sempre il suo nome alla sera del 20 luglio 1969, quando raccontò ai telespettatori lo sbarco sulla Luna. Paolo Valenti, il giornalista che ha presentato puntualmente 90° minuto, la sua trasmissione, quella trasmissione che aveva voluto, organizzato e diretto. L’appuntamento di tutti gli appassionati del calcio che passavano i pomeriggi con le orecchie attaccate alle radioline, come mio padre, e che aspettavano trepidanti le prime immagini, ai tempi in cui non esistevano le pay-TV.

Pippo Baudo e i suoi Sanremo, le sue trasmissioni, il suo essere il presentatore giusto e indicato. Fabrizio Frizzi, che mi fece scoprire l’esistenza dell’Europa unita a 7 anni quando conduceva con Elisabetta Gardini “Europa Europa”, e poi Telethon, la maratona televisiva di solidarietà che tanto ha portato alla ricerca in termini divulgativi ed economici. Eravamo i ragazzi della “V F” alle elementari di Mattinata e la nostra maestra, Colomba, ci chiese se l’avessimo voluta fare anche noi. Fu un’esperienza bellissima: in quella settimana raccogliemmo i soldi e io con la maestra mi recai all’ufficio postale dove presentai il mio primo vaglia postale!

La Rai è Piero Angela e il suo Mondo di Quark, colosso del concetto di televisione educativa e formativa.

Tornavo dall’asilo e le note di Bach erano il processo naturale dei miei pomeriggi con tutte le illustrazioni scientifiche elegantemente spiegate da uno scienziato e un uomo che tanto ci manca.

È Luciano De Crescenzo, il filosofo dall’accento napoletano che m’incantava con il racconto dei miti greci, il quale determinò senz’altro la scelta di iscrivermi al Liceo Classico.

È Raffaella Carrà, che ha segnato le colonne sonore della mia infanzia con le sue eleganti ballate e il suo saper essere un’intelligente donna briosa. È Renzo Arbore e la cultura musicale.

Qual’è l’oggi e quale sarà il domani del Servizio Pubblico radiotelevisivo. Nell’ultimo decennio il completamento del passaggio al digitale e il rapido e tumultuoso sviluppo della rete hanno determinato un cambiamento epocale nell’industria televisiva.

In questo contesto c’è ancora un futuro per la radiotelevisione tradizionale?  Credo che il Servizio Pubblico abbia una grande opportunità proprio ora, nel momento apparentemente più difficile, ma deve fare una scelta forte: tornare ad essere una televisione e una radio che fanno quello che le altre emittenti non fanno. Realizzare, su tutte le piattaforme, il sempre attuale slogan della BBC: informare, educare, intrattenere “bene”. Tutti ormai danno notizie, basta un tweet, 140 caratteri, ma l’approfondimento quanti lo fanno? Il giornalismo investigativo, le esclusive, gli scoop sono approfonditi e verificati? E chi si occupa di insegnare agli italiani a usare davvero internet in modo adeguato e intelligente o di spiegare perché, ad esempio, un uso intelligente dell’energia vuol dire salvare il futuro dei figli e dei nipoti? La Rai ha fatto tutto questo, e deve continuare a farlo. È un processo già avviato.

Questa è l’era in cui tutti possono dire tutto, anche troppo, si dà voce a chi non lo merita, ognuno è libero di offendere senza conseguenze.

Allora la Rai deve continuare a costruire un’offerta densa di contenuti accessibili a tutti, rigorosi e validati, capaci di fascinazione narrativa e nello stesso tempo orientati a promuovere il valore culturale, economico e sociale delle conoscenze, delle competenze e dell’obbiettività.

L’esodo di grandi personalità è notevole, si farà sentire, ma la vita, anche quella della Rai, è un ciclo, panta rei.

Ciò che conta è che tutte le idee abbiano diritto di cittadinanza. Che i ministri non banalizzino e siano, piuttosto, esempio per noi. Altrimenti si fa un’offesa al pubblico, perché si parte dal presupposto che la gente a casa non sia capace di formarsi una propria idea.

Perché la libertà di scegliere è fondamentale.