Ho riletto Platone per uscire dalla Caverna

20 ottobre 2023

Avevo 16 anni quando per la prima volta studiai Platone, il filosofo greco che, con i suoi dialoghi, impresse in me le idee e i concetti che poi sarebbero rimasti punti di riferimento nella mia vita privata e sociale, anche se me ne sono accorta solo dopo un po’ di tempo, con l’esperienza.

Una profonda riflessione su me stessa e sulla società che viviamo mi ha portato a rispolverare i miei vecchi libri e a riaprirli, portandomi a rileggere il mito della caverna raccolto nel dialogo “La Repubblica”.

L’esigenza è nata dalla lettura indesiderata di alcuni susseguenti post su facebook, gli ennesimi, che nulla aggiungono (al più tolgono) al benessere della comunità. Non riferiti a me o a persone vicine a me, ma comunque deludenti perché si tratta del modo di fare degli attori della società attuale che ne abbassano, inesorabilmente, il livello.

Mi rendo conto che porre insieme, in uno stesso testo, un post di facebook e il mito della caverna potrebbe sembrare un’offesa (a Platone), ma in realtà ha un senso.

Tanti di noi, nell’era dei social, hanno bisogno di pubblicare, anche io e tante persone che frequento, tanti politici e professionisti, filosofi e quant’altro. È diventato uno dei modi nuovi di comunicare. Ma questo, come ogni strumento, può facilmente essere usato male e creare fenomeni di verità distorte o inesistenti che possono indurre (e hanno indotto) alla costruzione di un mondo di opinioni basate sul nulla e pertanto portatrici di false verità.

Platone dedicò la sua vita al tema della giustizia che, essenzialmente, per lui, voleva dire politica.

Nella Repubblica si discute di quale sia la migliore forma di organizzazione politica e di chi debba governare e in virtù di quale sapere.

Nell’allegoria della caverna elabora la costruzione del come acquisire la conoscenza necessaria per ben governare, liberandosi delle opinioni e accedendo alla conoscenza della realtà.

E qui il parallelismo con il mondo attuale.

Il grande filosofo immaginava delle persone che vivevano chiuse in una caverna, incatenate così strettamente da non poter girare nemmeno la testa. La caverna ha solo un’apertura verso l’esterno, ma la gente che ci vive ha lo sguardo rivolto verso la parete in fondo, e non vede l’uscita. Alle spalle dei prigionieri un grande fuoco acceso che fa luce; in mezzo, tra questi, c’è un muretto basso dietro il quale altre persone tengono in mano degli oggetti che sporgono dal muro e le cui ombre vengono proiettate sulla parete.

Quelle ombre sono le uniche cose che i prigionieri abbiano mai visto, costretti come sono a stare fermi lì.

A un certo punto immagina che uno di quegli uomini venga liberato dalle catene, si alzi, si giri e si muova verso l’entrata: a quel punto gli fanno male gli occhi e viene accecato dalla luce. Vorrebbe tornare indietro e non crede a nulla di quello che vede. Avrebbe bisogno di tempo per abituarsi, di cominciare a vedere prima di notte al buio le stelle e poi di giorno le cose al sole.

Dopo un po’ il prigioniero liberato, finalmente è in grado di vedere direttamente il sole, è felice della sua nuova condizione e compiange chi è rimasto nella caverna.

Platone prova a far tornare l’uomo liberato nella caverna per convincere gli altri che fuori c’è la verità ma non ci riesce. Lo deridono e lo chiamano impostore.

Platone è attuale? Parla dello status quo dell’umanità del presente?

Questa allegoria mi è venuta in mente pensando che i prigionieri rappresentano proprio l’umanità contemporanea affascinata da un’apparenza mutevole, artefatta, illusoria, lontana e che rende indifferenti e inermi.  Come i post di facebook e certe notizie on line dai titoli sensazionalistici.

Gli uomini che muovono gli oggetti dietro il muro sono il simbolo della mentalità manipolatrice della nostra società, che induce chiunque a non accorgersi del “vero”.

Un modo di fare che ci devia, non ci fa “guardare dentro”, insegnando solo ad usare oggetti o anche persone, senza farsi tramite della profondità di senso e bellezza che ognuno di essi possiede, senza indagare criticamente la verità d’oltre celata.

Il prigioniero esce dalla caverna di sé stesso apre la sua anima al mondo, al sapere, alle responsabilità e vede con i suoi occhi alla luce del sole.

Questo mito mi ha colpito da subito, alla prima lezione in classe condotta dal prof. Michele Illiceto.

Essere uomini liberi vuol dire essere uomini di sapere, che non hanno modo di farsi contaminare dalle manipolazioni o dalle opinioni.

Ora o mai più, risvegliamoci dal torpore causato dalle ombre di apparenza di una mentalità che ci rende inermi e omologati prigionieri e voltiamoci, lasciamoci invadere dal calore del fuoco della sapienza e diveniamo coraggiose, pensanti ed agenti attori della società che escono dalle “caverne esistenziali” e che, controcorrente, illuminati dal sole e con dentro un fuoco da alimentare e donare, corrono nel mondo per tornare ad illuminarlo in maniera nuova, creativa, delicata e, insieme, impetuosa.

Quella sera, rileggendo il dialogo platonico, ho capito che il mondo avrà sempre i suoi paradigmi. Non cambierà mai. Possiamo solo miglioralo facendo uscire dalle proprie caverne più prigionieri possibile. O uscirci noi per primi.

Per farlo ci vuole coraggio, perché siamo troppo contaminati dall’ignoranza e dalla debolezza umana.

Così, dopo la lettura, ho deciso di chiudere facebook, ho chiamato un’amica (come non facevo da tanto tempo) e sono stata con lei a bere una birra per due ore e parlare di quello che sentivo dentro. E mentre noi immaginavamo insieme una via d’uscita (dalla caverna), qualcuno, molto probabilmente, avrà passato la serata imprigionato nella sua caverna di facebook dove venivano proiettate le ombre della realtà che qualcuno, con ogni probabilità, avrà confuso con la verità.