Gli stupri di Hamas nella guerra mondiale “a pezzi”
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5 gennaio 2024
Il 2023 è andato via con le immagini strazianti di guerre ingiuste e violente, lasciando spazio al 2024 che ha pesanti eredità da risolvere.
Oggi avrei voluto parlare delle donne potenti della storia, avendo visitato un importante casa reale europea, ma cuore e mente mi portano a parlare di donne che in questo momento soffrono, vittime di atroci massacri che si aggiungono alle già orribili violenze della guerra.
È difficile accettare nel 2023 stupri di massa come quelli di Hamas sulle israeliane il 7 ottobre. Sarà per questo che molta opinione pubblica vuole credere siano fake news d’Israele? O è antisemitismo? Resta il fatto che istituzioni internazionali e organizzazioni umanitarie hanno taciuto. Ci sono volute otto settimane prima che l’Agenzia per la parità di genere delle Nazioni Unite esprimesse parole di condanna, nonostante i video che i miliziani di Hamas avevano postato (ripulendoli delle immagini più feroci) per vantarsi delle proprie gesta, e nonstante le autopsie e le testimonianze dei sopravvissuti.
Gli stupri e i massacri perpetrati dai terroristi di Hamas nel sud di Israele sono al centro di un’inchiesta pubblicata dal New York Times. Quel giorno, secondo quanto riportato dai testimoni e dalle autorità israeliane, i terroristi hanno stuprato e abusato sessualmente di numerose donne. Il quotidiano statunitense ha individuato almeno 7 luoghi in cui donne e ragazze israeliane sono state stuprate e mutilate, basandosi su fotografie, video, informazioni dai cellulari, e interviste ad oltre 150 persone, tra cui testimoni, soldati e personale medico. All’indomani degli attacchi è venuto alla luce un terrificante quadro di violenza sessuale contro le donne. Il New York Times ha condotto un’indagine durata ben due mesi, scoprendo dettagli angoscianti, che indicano violenze sessuali e mutilazioni in più luoghi presi di mira dai terroristi.
Quel giorno, per la cronaca, i miliziani di Hamas trucidarono circa 1.200 civili israeliani e circa 100 militari dell’Idf, oltre 5mila i feriti. Gli attacchi di Tel Aviv nella Striscia di Gaza dall’8 ottobre al 29 dicembre 2023 hanno causato la morte di oltre 21.000 palestinesi, fra i quali, secondo Hamas, quasi la metà costituita da minorenni. I feriti nella Striscia oltre 50.000.
Mi hanno sconvolto le immagini dell’ostaggio Naama Levy, 19 anni: il sangue le colava dai pantaloni, l’hanno fatta salire sul retro della macchina per poi avventarsi su di lei. La madre ha diffuso un appello affinché fosse liberata.
Sento l’obiezione: «Perché non commenti i bombardamenti d’Israele che riduce Gaza a un cimitero»? Sì, tutto questo è orribile. La guerra è orribile. Ma qui voglio scrivere del disprezzo per il nostro corpo sporcato, dilaniato. L’odio per le donne e l’arretramento dei nostri diritti vanno di pari passo con il terrore. Accade per le donne uccise in Iran perché non portano il velo, nell’Afghanistan che ha paura dell’emancipazione delle ragazze e nega loro l’istruzione. I terroristi di Hamas dilaniano i corpi delle donne e ci giocano a pallone. Sento già l’obiezione: «Ma anche in Italia…». Sì, anche da noi, dove c’è un femminicidio ogni quattro giorni. Se ci penste è quando la donna si ribella che il marito la uccide.
E se conoscete quella serie possente intitolata “The Good Mothers” e racconta la storia della testimone di giustizia Lea Garofalo, avrete visto come la ‘ndrangheta calabrese scioglieva nell’acido le donne disobbedienti appena poco più di 10 anni fa.
Il premio Nobel per la Pace è stato appena consegnato a una sedia vuota su cui avrebbe dovuto sedersi l’iraniana Narges Mohammadi: 51 anni, giornalista, scrittrice, attivista per i diritti umani, condannata a 31 anni di carcere e frustrate. In settembre aveva scritto una lettera dalla prigione dii Teheran dov’è detenuta. Testimoniava l’odio per le donne e il prezzo che esse devono pagare: le accuse inventate, gli arresti, le botte feroci, gli stupri, le torture, le violenze psicologiche, i trasferimenti negli istituti psichiatrici.
“Una notte”, ha raccontato la premio Nobel, “ho sentito un pianto prolungato in una cella alla fine del corridoio. Qualche giorno dopo quelle sbarre si aprirono. Ne uscì una donna con gli occhi gonfi. Raccontò che era stata costretta a spogliarsi e quindi a sedersi, alzarsi, risedersi, ralzarsi, ancora, ancora, ancora”. La testimonianza di Mohammadi continua, ma io non riesco a proseguire: il resoconto delle torture è di una violenza inimmaginabile. “Le donne” aveva scritto l’attivista, “sono diventate l’asse centrale della resistenza e perciò il bersaglio principale dell’oppressione”.
Io sono sempre più convinta che il silenzio sia violenza, perciò continuerò a scriverne: per ogni vittima, per ogni tipo di sopruso, senza esclusioni.