Aldo Moro, il futuro nelle responsabilità del presente
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“Era la notte buia dello Stato Italiano, quella del nove maggio settantotto. La notte di via Caetani, del corpo di Aldo Moro, l’alba dei funerali di uno Stato.”
Così cantano i Modena City Ramblers nella canzone “I Cento Passi”, così ricordano quel 9 Maggio 1978, una delle peggiori date che la nostra Repubblica possa ricordare.
Quel giorno fu ritrovato il corpo di Aldo Moro, lo statista italiano rapito e ucciso con dieci colpi di pistola dalla brigate rosse, uno dei maggiori esponenti della politica italiana e della nostra storia, l’uomo che avrebbe potuto cambiare l’Italia. L’uomo che non ha avuto il permesso di farlo.
Il suo corpo, senza vita, fu reso noto proprio il 9 maggio del 1978, mentre a Cinisi veniva ucciso dalla mafia Peppino Impastato.
Il 9 maggio è la festa dell’Europa, nata istituzionalmente nel 1950, quando si propagava il timore di un terzo conflitto mondiale. Convocati a Parigi gli alti rappresentanti di Francia, Germania occidentale, Italia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo, alla presenza della stampa mondiale, fu data lettura della dichiarazione “Shuman” e dei suoi principi fondamentali: “La pace mondiale non potrebbe essere salvaguardata senza iniziative creative all’altezza dei pericoli che ci minacciano. Mettendo in comune talune produzioni di base (il carbone e l’acciaio) e istituendo una nuova Alta Autorità le cui decisioni saranno vincolanti per la Francia, la Germania e i paesi che vi aderiranno, saranno realizzate le prime fondamenta concrete di una federazione europea indispensabile alla salvaguardia della pace”.
Moro europeista, in tanti lo scrivono. Lui pensava ad un’Europa forte, democratica e rappresentativa, “un’unione aperta alla collaborazione internazionale” e con questa visione contribuì alla riforma che nel 1979 portò alla prima elezione del Parlamento Europeo a suffragio universale.
Le brigate rosse gli impedirono di vivere questo momento ma non poterono cancellare la sua firma dagli sforzi fatti per raggiungere quel risultato.
Con Moro, si interruppe quel processo democratico, di portata europeista, in cui la vera centralità era rappresentata dall’uomo. L’Italia lo piange ancora. L’Europa perse un esempio di moralità.
Le sue parole, oggi, sembrano attuali più che mai. Moro è stato un grande statista, un professore di filosofia del diritto e di diritto penale, ma anche un dirigente di partito. Oggi il suo insegnamento sarebbe la via maestra per quelle formazioni partitiche popolari che necessitano di un rinnovamento per leggere le vere esigenze della gente, ma che restano, invece, da tempo, concatenate a equilibrismi di potere e governismo. Non perché non abbiano compreso il problema, ma perché non hanno il coraggio di farlo. Lui da uomo coraggioso lo diceva:
“Parliamo, giustamente preoccupati, di distacco tra società civile e società politica e riscontriamo una certa crisi dei partiti, una loro minore autorità, una meno spiccata attitudine a risolvere, su basi di comprensione, di consenso e di fiducia, i problemi della vita nazionale. Ma, a fondamento di questa insufficiente presenza dei partiti, non c’è forse la incapacità di utilizzare anche per noi, classe politica, la coscienza critica e la forza di volontà della base democratica?”
Il tributo della settimana scorsa fatta dal regista Marco Bellocchio, con la magistrale interpretazione dell’attore Fabrizio Gifuni, è stato raffinato e importante.
Perché le nuove generazioni non devono perdere il contatto con la memoria, perché il pensiero, l’azione, gli insegnamenti di Moro e di tanti altri giusti che hanno pagato il prezzo della vita, devono essere le nostre radici preziose per affrontare il futuro. Perché come ci ricorda lo stesso Aldo Moro “La verità è sempre illuminante. Ci aiuta ad essere coraggiosi”.
Il lavoro di Bellocchio denota anche le storture del partito di cui Moro – al momento del rapimento -ne era Presidente e di tutti gli uomini delle alte cariche dell’epoca, che non l’hanno saputo o voluto salvare, nonostante gli appelli del Papa.
Aldo Moro è una figura presente nei miei tanti ricordi d’infanzia e denota la mia formazione. Nata e cresciuta in una famiglia democristiana, mi sovviene il ricordo di quando mio zio Peppino, primo sindaco rivoluzionario del neonato comune di Mattinata (1955) nonché segretario della DC per 40 anni, mi regalava i suoi libri sulla vita di Moro e mi diceva “da grande li leggerai e capirai da che parte stare”.
Oggi quei libri, insieme alle fotografie della sua visita a Mattinata, sono tutti nella mia libreria, in prima fila. Ne vado orgogliosa. Li ho letti e mi hanno fatto capire non solo da che parte stare, ma anche che tipo di donna essere.
Quando nel 2016 diventai segretaria del Partito Democratico di Mattinata proposi, nel primo direttivo, di denominare il circolo “Moro – Barlinguer”, proprio in ricordo di due grandi segretari politici, ma soprattutto di due persone perbene. La proposta fu accolta e il circolo prese quel nome!
Spesso penso, chissà, immaginando una sorta di effetto “sliding doors”, come sarebbe stato il nostro destino se i brigatisti lo avessero liberato. Tangentopoli sarebbe scoppiata molto prima del 1992? Si sarebbero evitate alcune sanguinose guerre europee? I partiti popolari avrebbero mantenuto la loro seria convinzione di essere rappresentativi del popolo? Oggi la politica come sarebbe stata?
Credo che di questo si debba parlare apertamente, oggi più che mai. Quella di Moro è storia ancora attuale, è la nostra storia. La sua figura va studiata, argomentata e attualizzata.
Un pezzo in rubrica non basta a illustrarne l’alto profilo umano e politico, lo so bene. Ma non mi è stato possibile non parlarne. La memoria va coltivata, specie se si tratta di persone che in nome di democrazia, verità e libertà, hanno perso la vita.
Sono certa che la fierezza e la rabbia che ho provato in questi giorni nel ricordo di Moro, siano stati sentimenti comuni a tanti altri italiani.
E mi auguro che, in questi tempi di incertezze economiche, sociali e politiche, in maggior modo chi è chiamato a ruoli di alte responsabilità pubbliche, segua, almeno in parte, il suo esempio.
Moro era stato un promotore della democrazia, un rigoroso uomo di legge che credeva in una politica nuova basata sulla “strategia dell’attenzione”.
Oggi voglio chiudere con un suo pensiero, attuale e necessario, immaginandolo fra i banchi del Parlamento, mentre si rivolge agli onorevoli del nostro tempo:
“Se fosse possibile dire: saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a questo domani, credo che tutti accetteremmo di farlo, ma, cari amici, non è possibile; oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso, si tratta di vivere il tempo che ci è stato dato con tutte le sue difficoltà. Camminiamo insieme perché l’avvenire appartiene in larga misura ancora a noi.”